Premesso che i debiti condominiali derivanti dalle spese ordinarie si prescrivono nel termine di cinque anni (art. 948, 4° comma c.c.), mentre i debiti condominiali derivanti dalle spese straordinarie si prescrivono nell’ordinario termine decennale, la questione della rateizzazione del debito si pone su un duplice piano: uno squisitamente giuridico ed uno puramente fattuale e di prassi, che, come spesso accade nella materia condominiale, appaiono inconciliabili, se non decisamente divergenti.
Il dato normativo è chiaro e non si presta ad interpretazioni equivoche. La dilazione -o piano di rientro- del debito condominiale, proposta dal Condomino moroso altro non è -tecnicamente- che una transazione, in quanto contratto vero e proprio che comporta la disposizione dei diritti patrimoniali delle parti, ed altrettanto pacificamente, essendo individuabile nel rapporto tra amministratori e condomini la figura contrattuale tipica del mandato con rappresentanza (Cass. SS. UU. n. 9148/2008), gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione -quale, appunto, è una transazione- devono essere espressamente autorizzati dal mandante (Condominio).
Ne consegue che, in assenza di espressa delibera assembleare che ratifichi l’operato dell’amministratore, il quale abbia autonomamente sottoscritto un piano di rientro non preventivamente approvato dalla compagine condominiale, il mandatario resterebbe vincolato in proprio all’obbligazione contrattuale assunta, travalicando i limiti del proprio mandato ed esponendosi al rischio di eventuale azione risarcitoria da parte dei condomini.
Completamente differente è il dato che, pare, emergere dalla quotidiana prassi condominiale. Chi, per motivi professionali, ha avuto modo di avvicinarsi all’universo “Condominio” sa bene che la gestione delle morosità, almeno in parte, è fisiologica e, per certi versi, connaturata, all’essenza stessa della materia; non esiste, infatti, Condominio che, per quanto virtuoso, non debba fare i conti con la cronicità del ritardo nel versamento delle quote condominiali da parte di qualche condomino, assolutamente refrattario ad ogni forma di invito, bonario piuttosto che formale, alla regolarizzazione della propria posizione debitoria.
Ed allora, superata la soglia della normale tollerabilità, ecco che comincia il calvario del Nostro di cui sopra: affidamento incarico ad un legale; gestione dei costi vivi per l’avvio della procedura; ritardi dei Giudici, oberati di lavoro, nell’emissione del decreto ingiuntivo; difficoltà -assai frequenti, in vero- di ottenere una corretta notifica del titolo, a causa di anagrafiche -molto spesso incolpevolmente- incomplete e/o inesatte; scelta dell’azione esecutiva da coltivare ed infine, non di rado, incapienza del debitore. Il tutto, mentre, contestualmente, ci si trova a dover garantire una gestione -quanto più possibile- regolare della contabilità, non scontentando i fornitori ed evitando, auspicabilmente, di procrastinare sine die il pagamento del proprio giusto compenso.
Il quadro appena delineato, spiega in maniera eloquente il perché, assai di frequente, l’amministratore che si veda proporre, magari proprio dal debitore tanto a lungo “inseguito”, un piano di rientro che sia concretamente sostenibile, non troppo dilatato nel tempo, e -possibilmente- che preveda un immediato, cospicuo, versamento di denaro che vada a rimpinguare le -magari- poco floride casse condominiali, venga immediatamente e seriamente vagliato, se non direttamente sottoscritto dall’amministratore, il quale, sprezzante del pericolo connesso ad una mancata ratifica assembleare, decide di immolarsi sull’altare del superiore interesse dei propri amministrati.
A parere dello scrivente, per non incorrere in liti o contenziosi, è opportuno discutere in assemblea e far deliberare la relativa concessione della rateizzazione ai condomini che ne fanno richiesta.